Ferenc Pintér è stato un grandissimo pittore e disegnatore italiano di origini ungheresi.
Oggi, forse, è un tantino dimenticato o, almeno, trascurato dai media e dagli addetti ai lavori che organizzano grandi mostre ed eventi memorabili.
Vogliamo ricordarlo in questo post, partendo dalle parole di uno degli ultimi organizzatori di un evento che lo ha visto protagonista: la mostra di Alassio del 2018.
La potenza evocativa del disegno di quelle copertine evoca un mondo intero, e stimola una riflessione sul valore intrinseco dell’oggetto/libro, anche quando esso costa pochi danari. Un'animazione multimediale realizzata fotografando le copertine di parte dei libri presenti nella nostra Biblioteca ci consente di mantenere vivo il rapporto con chi ci segue, di trovare l’opportunità nel problema, in attesa di rivederci fisicamente. Ci auguriamo inoltre che l’amministrazione di Alassio voglia approfondire e celebrare in modo adeguato la memoria di chi ha dato corpo al nostro Maigret. Giuliano Arnaldi.
Biografia di Ferenc Pintér.
Ferenc Pintér, nasce ad Alassio il 19 ottobre del 1931. Ci ha lascito il 28 febbraio del 2008. Da tempo viveva e lavorava a Milano.
Ferenc Pintér è stato un pittore italiano, ma soprattutto un grande illustratore. Il suo nome evoca immediatamente le tante copertine realizzate, negli anni, per le edizioni Mondadori.
Il padre di Ferenc Pintér, József, era ungherese di nascita e fu a lungo un cosiddetto "pittore itinerante". Si spostava da un luogo di villeggiatura ad un altro dipingendo paesaggi, vedute di alberghi e, probabilmente, facendo ritratti ai turisti che ne facevano richiesta.
Giunto in Italia incontra una giovane ragazza fiorentina, Anna Antonazzi, si innamora di lei, ricambiato, e i due giovani si sposano superando le comprensibili opposizioni della famiglia di lei. Quel giovane pittore straniero non sembra in grado di offrire alla loro amata figlia nient'altro che una vita bohémienne dall'incerto avvenire.
Ferenc Pintér nasce ad Alassio, sulla Riviera ligure il 19 ottobre del 1931. Probabilmente il padre si trova lì per lavoro ed è un puro caso, quindi, che il bimbo venga al mondo proprio in quelle magnifiche terre italiane.
Sette anni dopo, nel dicembre del 1940, il padre di Ferenc vede aggravarsi gli effetti della Tubercolosi di cui è affetto e, su consiglio medico, lascia l'Italia e si trasferisce con la famiglia nella natia Ungheria, per sottoporsi ad un delicato intervento chirurgico.
La famiglia nel frattempo è cresciuta con la nascita di una bambina ed ora vivono tutti insieme a Ujpest, alla periferia di Budapest, dove il giovane Pintér frequenta la scuola media italiana della capitale.
Sono anni difficili quelli, anni di guerra. Le armate ungheresi, al fianco di quelle germaniche hanno invaso l'Unione Sovietica e, pochi anni dopo, i russi restituiscono loro il favore occupando l'Ungheria.
Per sottrarsi ai bombardamenti, la famiglia Pintér si trasferisce nella vicina campagna ed è qui che il giovane Ferenc impara a maneggiare meglio l’ungherese così da poter continuare gli studi nelle scuole statali. Nel 1945 la guerra finisce, ma i sovietici non se ne vanno.
Nel primo dopoguerra Pintér inizia, su consiglio del padre, a disegnare dal vero. Riempie album di schizzi a matita raffiguranti animali da cortile, semplici oggetti, come un martello, un secchio o un pallone da calcio, fino alle erbe dei campi e agli alberi. Il padre lo guida ad imitare la lucentezza del metallo, la venatura del legno e la rotondità delle forme.
Ferenc possiede una particolare disposizione per il disegno. Se ne accorge il padre, se ne accorgono anche i compagni di classe che non esitano a rivolgersi a lui per fargli realizzare anche i propri disegni.
Terminata la guerra e gli studi superiori Ferenc Pintér tenta di entrare all'Accademia di belle arti. Ci riesce, ma con grandi difficoltà. Per ben tre volte la sua domanda viene respinta e non certo per lacune tecniche. Gli esaminatori vorrebbero da lui un più deciso allineamento ai dettami del regime comunista. Lui tenta di allinearsi ai dettami imposti dal regime, ma è più forte di lui: le sue risposte alle domande "politiche" degli esaminatori lo mettono spesso in cattiva luce. In aggiunta i nonni fiorentini gli inviano, ogni tanto, capi d'abbigliamento dall'Italia e, anche questo, non contribuisce a migliorare l'immagine politica del ragazzo.
Riesce finalmente ad accedere all'Accademia nel 1947, ma la sua posizione rimane in bilico e lui continua ad essere un osservato speciale.
Pintér si iscrive comunque al corso di pittura murale decorativa del liceo delle arti applicate di Budapest. Un corso che prepara al mestiere di decoratore.
Al disegno di grosse strutture geometriche e di elementi architettonici (solo a matita nel primo anno), realizzati con incredibili effetti di trompe-l’oeil, segue quello dei calchi in gesso di sculture classiche e, infine (quando è concesso l’uso del carboncino), del nudo.
La prima esposizione del manifesto ungherese del dopoguerra, nel 1948, sarà anche l’ultima che consenta di vedere rappresentato un linguaggio grafico, moderno e affascinante, prima che lo stalinismo livelli tutto nel socialismo reale.
Pintér vi assiste ed è, per lui, una vera rivelazione. Di colpo, le opere di artisti come György Konecsni, Gábor Papp e Zoltán Tamássi divengono ai suoi occhi punti di riferimento fondamentale.
Nel frattempo la salute del padre peggiora sempre di più e quando, pochi mesi prima della sua morte, un editore commissiona a questi la copertina di un libro di poesie di Sándor Petöfi, József, ne affida la realizzazione al figlio. Questo lavoro sarà il primo di Pintér ad essere pubblicato, e, dopo la morte del padre, sarà sempre Ferenc a continuarne l'attività, provvedendo così anche al mantenimento dei familiari.
Il giovane si fa le ossa dipingendo locandine per parrucchieri, tabaccai e piccoli artigiani, obbligati a esporre cartelli di carattere propagandistico e ideologico per glorificare i piani triennali e per gli anniversari del regime.
Una buona occasione per migliorare ulteriormente le proprie capacità, Pintér, la coglie quando gli offrono di lavorare in un atelier statale. Qui ha occasione di lavorare sulle grandi superfici (dove ogni più piccolo particolare deve essere preciso anche visto da vicino) dei padiglioni delle fiere ungheresi.
Dal 1951 al 1953 il ragazzo è impegnato nel lunghissimo servizio militare di due anni, dove, negli ultimi sei mesi, è chiamato come grafico in un atelier dell’esercito a Budapest.
Tamássi, uno dei grandi protagonisti della grafica ungherese, sorpreso e impressionato dai lavori che il giovane Ferenc va realizzando, lo presenta ad un’agenzia pubblicitaria e, in seguito, all’amico Konecsni, il padre del nuovo manifesto ungherese.
Konecsni rinnova il rigoroso linguaggio del Bauhaus, ormai stanco e ripetitivo, introducendovi una nota lirica. Pintér è talmente affascinato dal grande maestro che con ingenuità giovanile ne vuole seguire le orme, ragion per cui, alla mostra del poster ungherese del 1956, presenta sei manifesti, esposti in seguito anche a Varsavia e a Mosca e presentati sulle riviste Graphis e Gebrauchsgraphik.
«Non si vedono in giro opere dall’effetto così monumentale».
Sarà il commento di Eva Bartha sulla Rivista della federazione delle belle arti e dell’arte applicata Arte libera.
Ma siamo ormai nel 1956 e la situazione ungherese precipita. Pintér, il 23 novembre, a seguito del secondo intervento corazzato sovietico per schiacciare definitivamente con la forza la rivoluzione ungherese, passa clandestinamente il confine con l’Austria, raggiungendo la madre, ospite della sorella a Firenze.
Nei primi tempi, trascorsi con la famiglia a Firenze, Pintér, si guadagna da vivere realizzando pannelli figurativi per i negozi del centro. Poi accade che alcuni di questi suoi lavori attirino l'attenzione dell’architetto Spadolini (fratello del Senatore Giovanni), che, sul finire del 1957, gli propone di trasferirsi con lui a Milano nel 1957.
Pintér ha così l’opportunità di realizzare, da solo e in un solo mese, un pannello circolare di ottanta metri quadrati per la Radiomarelli, destinato alla fiera di Milano. Poi, l'anno seguente dipingerà quello per l’Ente Tabacchi. Il suo stile inizia a definirsi in maniera sempre più compiuta.
Nel 1960 la sua carriera prende una svolta decisiva. Un'amica lo accompagna in via Bianca di Savoia dove, a quel tempo, era la sede della Mondadori, e lo presenta ad Anita Klinz, direttrice artistica della casa editrice.
La Klinz comprende subito le straordinarie doti artistiche di Pintér e lo assume seduta stante. Non è ancora il lavoro da copertinista che lo renderà celebre.
Il suo primo incarico consiste nel realizzare avvisi pubblicitari per la collana dei “Gialli Mondadori” e degli “Urania”. I lavori di Pintér seppure: "Eseguiti in economia di mezzi", rivelano: " Un magistrale controllo della linea nera, ora a larghe pennellate ora con un segno che può sembrare tracciato dal pennino."
Gli vengono affidate anche le illustrazioni di due libri strenna destinati agli abbonati alle riviste Mondadori. Il primo, Tre anni di Anton Cˇechov, un agile volumetto con otto illustrazioni a colori, rivela un luminoso colorista e un accorto sceneggiatore; il secondo è Michele Strogoff di Jules Verne, dalla indovinata illustrazione a colori di copertina e dai disegni interni finemente lavorati con inchiostro di china, ora a punta di pennello, ora a macchie nere.
Su impostazione grafica della Klinz disegna le sovraccoperte degli “Omnibus”, contraddistinte da una lunga fascia che corre anche sul retro, con una figura che ne fuoriesce scontornata, soluzione estranea ai gusti di Pintér, ma a cui questi dà, sempre e comunque, interessanti soluzioni pittoriche.
È incaricato di disegnare le copertine della prima serie di Maigret, che hanno una gabbia fissa occupata sempre dalla figura di Maigret/Gino Cervi in piano americano e da un piccolo elemento figurativo, annegati in accesi sfondi a colori primari.
A questa prima serie, dove Pintér sfrutta anche la porosità del cartoncino per “rendere” il tessuto delle giacche del commissario, ne seguirà una seconda, quella degli “Oscar”, più libera e articolata, apprezzata dallo stesso Georges Simenon.
In oltre settanta copertine si dispiega tutto il magistero dell’artista ungherese, che a Maigret, come agli “Omnibus Gialli”, è particolarmente legato. Il modello del commissario di questa nuova serie è ancora Gino Cervi e non poteva essere altrimenti.
Ogni copertina di Maigret sorprende per l’idea, per il taglio grafico e per la realizzazione tecnica, che alterna le tempere al pennino, le fotografie acidate e poi dipinte, fino al pennarello la cui stesura non uniforme dà modo a Pintér di sperimentare innovative soluzioni formali.
Pintér coglie con acutezza le atmosfere e i luoghi descritti nei romanzi, ma non solo: porta in copertina anche le abitudini più intime del commissario, tanto da farci intuire, vedendolo a capo chino e di spalle, nello specchio sopra il lavandino (Maigret e l’affittacamere) che sta urinando: un’introduzione figurata che non deluderà mai il lettore.
In Maigret e la ballerina del Gai Moulin le braccia aperte della ballerina dividono lo spazio nella sezione aurea: in alto, il fondo scuro annega la figura di Maigret (accennata con pochi tocchi di colore) e rileva la testa della danzatrice, il cui corpo si percepisce solo attraverso l’ombelico, il reggiseno e le mutandine nere, dipinte su una superficie appena sporcata di colore.
Settanta copertine! Non si può raccontarle tutte. Mai un cedimento, mai una ripetizione, mai una banalità; una lunga convivenza che porterà Pintér ad essere una sorta di alter ego figurativo di Simenon.
Dopo il successo delle prime copertine, Pintér ha la massima libertà, «anche perché in redazione – dice modestamente l’artista ridendo sotto i baffi – si fidavano di Simenon».
Non si trovano ancora in commercio molti libri illustrati da Pintér: alcuni li trovi qui.
Ma non sono solo gli “Oscar” maigretiani a dar soddisfazione a Pintér e piacere a chi li acquista. Altre serie fondamentali sono quelle che realizza per i romanzi di Cesare Pavese e di Grazia Deledda.
Il compagno, Prima che il gallo canti, La luna e i falò, Paesi tuoi e La bella estate, solo per citarne qualcuna, prima ancora di essere copertine indovinate e affabulatorie, sono brani di grande pittura. L’artista rende qui magistralmente la materia, come gli avevano insegnato il padre prima, la scuola poi: il fasciame di una barca, la paglia di una sedia, un tronco marcito, il manto di un cavallo, la terra arata i cui solchi sono “resi” raschiando con una lametta la spessa tempera non ancora asciutta.
Allo stesso modo in cui Pintér dipinge, come se lo conoscesse profondamente, il mondo contadino di Pavese, così “ferma” il mondo rurale sardo della Deledda in altrettante memorabili copertine: La madre, Cenere (una croce, netta su fondo bianco, è formata dalla salma e dalle due figure in preghiera), Canne al vento, Elias Portolu.
La stanza dove appare il protagonista di quest’ultimo romanzo, con la coppola calata sugli occhi e la sigaretta in mano, è arredata da un vecchio cassettone annerito dal fumo, sormontato da uno specchio inclinato in avanti, da una bacinella e da una brocca di latta smaltata di bianco, con i bordi filettati di blu: mobili e oggetti “poveri” esaltati dal pennello di Pintér, che con piccole, abilissime sfumature ne restituisce magistralmente, e quasi fotograficamente, le forme.
Scopri i libri di Ferenc Pintér
Altre copertine possono veicolare inaspettate esperienze visive, come quella con un solo segno, evocativo e stimolante, per l’opera di Mario Soldati Lo smeraldo, o ispirarsi alla pittura di Felice Casorati con la bellissima copertina di Nessuno torna indietro, ambientato nella Torino degli anni Trenta, o ancora, facendo suo lo stile della grande pittura giapponese, per il romanzo di Yasunari Kawabata Il paese delle nevi.
Più di mille “Oscar”: una galleria di immagini indimenticabili, una vera e propria originale “pinacoteca” custodita in milioni di librerie domestiche.
Nel 1963, a Verona, nella chiesa di san Zeno, davanti alla pala del Mantegna, Pintér sposa Paola Roncato. La vita familiare accanto alla moglie e ai tre figli, Antonio, Claudia e Francesca, scorre tranquilla, confortata anche dalle letture preferite (fin da giovane legge gli autori ungheresi Gyula Krúdy e Sandor Màrai, ma anche Marcel Proust, Thomas Mann, Tomasi di Lampedusa: Il Gattopardo lo stregherà), è scossa solo dall’avviso dell’Esercito Italiano, che lo ritiene renitente alla leva: a quell’epoca Pintér ha quarant’anni!
I volumi degli “Omnibus Gialli” prendono l’avvio nel 1969; Pintér dedicherà alla collana un impegno particolare. Obiettivo costante, mai tradito, è la ricerca di un singolo elemento o l’isolamento di un dettaglio (quello più adatto a stimolare l’immaginazione del lettore) che viene dilatato fino ad avere l’impatto di un manifesto.
Nasce così la copertina di Hercule Poirot, Piccolo grande uomo con il volto del protagonista in primissimo piano, cui il ridottissimo formato di copertina ne accentua la monumentalità invece di ridurla, o quella di 6 messaggi per Ellery Queen, dove una pallottola passa dalla bocca di uno nell’orecchio dell’altro, plasticamente disegnati da Pintér con un pennarello nero sottilissimo.
Citare solo due copertine fa però torto a tutte le altre degli “Omnibus Gialli”: quella con la testa di Poirot che esalta la scriminatura dei capelli, quella del cappello di un mafioso con sigaro, della gamba di una donna in primo piano che segue la suola della scarpa di un uomo che si allontana, o quella con i pantaloni sul pavimento a scacchi per L’eccellentissimo Nero Wolfe.
Una collezione imperdibile di tagli grafici a variante pittorica che lascia sbalorditi. Ma non sono solo le copertine a stupire: i risguardi sono talmente forti e originali che fanno concorrenza alle stesse copertine, tanto che l’artista dovrà trovare soluzioni sperimentali per non metterle in concorrenza tra loro.
La collaborazione alla rivista Duepiù per cui realizza tavole a forte tasso pittorico (l’illustrazione per il racconto di Italo Calvino L’avventura di una bagnante non teme confronto con i dipinti degli artisti figurativi), gli permette ancora di indagare prepotentemente, nelle doppie pagine dei segni zodiacali, altri aspetti della sua personalità grafica e pittorica.
Negli anni settanta Pintér lascia il segno nei volumi “La geografia di Biagi”, con illustrazioni in bianco e nero graficamente esemplari, risolte con pennellate nervose di estrema severità.
Nella collana “Tantibambini”, diretta da Bruno Munari, pubblica Le tre stanze (Einaudi, 1977): utilizzando carta fotografica lucida, Pintér ottiene effetti dove la libertà delle grandi pennellate a macchia è controbilanciata da un moderato utilizzo del filetto nero a definire una porta, un viso, un cassetto, un angolo di stanza.
Nell’illustrare i testi sacri della Bibbia, di Gesù e di San Francesco, Pintér riduce al minimo la scenografia, puntando molto sui protagonisti delle vicende; un’evidenza particolare avranno alcuni oggetti di uso quotidiano, come la brocca di terraglia, dipinta da sembrare vera argilla, in primo piano nell’Ultima Cena di Gesù.
Nel 1980 Pintér realizza Cuba 1898: il destino manifesto, pubblicato da Quadragono Libri (editore Mario Vigiak) per la collana “I Papermint” di avvincente aspetto grafico dovuto a John Alcorn.
In una delle illustrazioni dipinte a tempera su cartone telato, indagando in un grumo di colore scuro, si potranno distinguere i volti di tutti gli schiavi. I libri delle Avventure di Pierino, di Piero Chiara, hanno una prima edizione contraddistinta da disegni eseguiti con la brunolina su carta fotografica (meno spettacolare della seconda ma con più pregevoli soluzioni grafiche) e una seconda con tempere a colori, tutte due indagate da Pintér con una particolare attenzione al vissuto quotidiano del tempo.
L’uomo senza ombra di Adalbert von Chamisso, pubblicato nel 2000 da Cartacanta, è arricchito da diciotto illustrazioni seppiate a suggerire l’epoca della vicenda, con un segno volutamente accennato ma superbamente evocativo.
Non così il Macbeth shakespeariano (Nuages, 2001), dalle atmosfere cupe e drammatiche, vivificate da soluzioni figurative geniali, come quella dei tre cortigiani che sembrano avere pugnali nei loro sorrisi.
Una delle ultime collane per cui impegna il suo talento è quella dei “Saggi Mondadori”: piccole vignette risolte con pochissimi segni che sorprendono per l’efficacia della sintesi. Risale al 1991 l’esperienza dei ventidue Arcani Maggiori dei tarocchi (millecinquecento esemplari) fortemente voluta dalle Edizioni d’Arte Lo Scarabeo di Torino.
Il sito web dell'artista: http://www.ferencpinter.it/
L’assegnazione di numerosi premi nazionali e internazionali e l’allestimento di mostre delle sue opere costellano la carriera professionale di Pintér, riconosciuto in tutto il mondo come uno degli illustratori più significativi della sua epoca.
Realizza il calendario dei carabinieri per il 2001 e due suggestivi libri per l’Esercito italiano: L’Intelligence nella letteratura, dove dà corpo ad alcuni capitoli tratti dai romanzi di Poe, Dostoevskij, Stevenson, Salgari, Conrad, Green, Fleming e tanti altri.
Ai manifesti commerciali (quelli realizzati negli anni Sessanta per la fabbrica di abbigliamento maschile Facis sono esemplari per freschezza e incisività), che tornano periodicamente ad affiancare l’attività editoriale, si aggiungono, negli anni Ottanta, i manifesti politici a favore della pace, di Solidarnocˇsˇ, del dissenso sovietico e contro l’occupazione dell’Afghanistan e la repressione psichiatrica in URSS.
Alcuni di questi furono esposti a Washington e conservati alla Library of Congress, a Copenhagen, a Monaco e a Budapest; un impegno civile molto sentito da Pintér, che lo porterà a creare impressionanti manifesti, dove regolerà i conti con i regimi comunisti, usando con proprietà il loro linguaggio grafico per affermare l’esatto contrario.
A quelli politici alterna i manifesti per il teatro Eliseo di Roma, ricchi di spunti surreali e di intenso pathos.
Segni & Disegni pubblica, nel 2003, l’unica opera ad esemplari numerati: è la cartella di Pinocchio, in sole novanta copie, numerate e firmate, con otto tavole (ma sono ben quarantotto le illustrazione che Pintér realizza per un’edizione ancora tutta da fare): una carrellata di immagini che si distacca, per originalità, da tutte le altre precedentemente stampate.
Ferenc Pintér muore il 28 febbraio 2008 a Milano, ma la sua straordinaria opera è ancora lì a ricordarlo per sempre. Nelle gallerie e nelle pinacoteche, come in migliaia di case italiane.
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Il post è in gran parte ricavato dall'articolo seguente:
"Ferenc Pintér: la Magia del tratto"
Quando si parla di Pintér, la prima cosa che viene in mente è il Commissario Maigret: per il famoso detective nato dalla penna di George Simenon, Ferenc ha realizzato moltissime copertine, ognuna...
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