Il Mormorio di Parigi è una raccolta di racconti realizzati dalla scrittrice italiana Anna Maria Ortese dopo un suo viaggio a Parigi nel 1960.
Cinque racconti nella Parigi del 1960.
Anna Maria Ortese nasce a Roma, il 13 giugno del 1914, in una famiglia che, sempre alla ricerca di un nuovo punto di ancoraggio, si sposterà continuamente da un luogo all'altro. Non stupisce che lei stessa, dal 1937 al 1975, conduca poi una vita bohémien in giro per l'Italia.
Compie, nel corso della sua vita, anche tre viaggi all'estero e quello che la porta a Parigi, all'inizio di agosto 1960, avviene su richiesta de Il correre d'Informazione di Milano, e sarà anche l'ultimo di questi.
"C’è stato quel tempo, quello compreso tra la fine della guerra e gli ultimi anni del Cinquanta in cui non ho fatto che viaggiare."
Dall'esperienza parigina, la scrittrice e giornalista, ricava, per il suo giornale, cinque racconti che saranno poi raccolti in un volume nel 1986: Il mormorio di Parigi.
Nella ricostruzione letteraria che ne fa la scrittrice, il suo viaggio si riduce a tre tappe principali: il viaggio, l'arrivo, il soggiorno. La descrizione di queste diverse fasi presenta una doppia caratteristica.
Intrecciando tempo reale di viaggio e tempo di scrittura, giocando con le illusioni ottiche, associando osservazione, immaginazione, memoria o arte, il viaggiatore ci offre una visione della città che scivola costantemente dal realismo al surrealismo.
Durante il suo viaggio, passa dallo spossessamento della sua identità a un'identità riconquistata grazie al rifiuto dell'ignoto e dell'alterità.
Un viaggio a testa in giù, insomma, dove si sente in perfetta sintonia con Parigi solo quando vi ritrova l'Italia!
Il mormorio di Parigi.
Il mormorio di Parigi è un libro che scaturisce da una sorta di rivelazione.
Anna Maria Ortese, appena giunta in treno, da Milano, alla Gare de Lyon emerge sconcertata dal buio impersonale della metropolitana.
Il suo non è un giudizio ponderato sulla città: è una vertigine che la disorienta:
...è che questa non è una città: questo è un balletto, una stregoneria, un sogno.
Ma non è un sogno di oggi: è la somma di tutti i sogni della nostra infanzia.
Parigi! Ecco Parigi!
Il mormorio di Parigi di Anna Maria Ortese.
Anna Maria Ortese è una scrittrice italiana (Roma 1914 - Rapallo 1998), che nella sua opera si affidò sempre alle sollecitazioni del mondo esterno, di un realtà con cui si è sentita eternamente «in polemica», in un bisogno estremo di sincerità. Ha oscillato tra l'inchiesta giornalistica e l'invenzione narrativa, rifiutando programmi ideologici o di poetica. Tra le sue opere va ricordato Il porto di Toledo, ampio romanzo che si aggroviglia tra molteplici e contraddittorie dimensioni spazio-temporali, in un gioco tra passato e presente.
Anna Maria Ortese è una scrittrice italiana (Roma 1914 - Rapallo 1998), che nella sua opera si affidò sempre alle sollecitazioni del mondo esterno, di un realtà con cui si è sentita eternamente «in polemica», in un bisogno estremo di sincerità.
Ha oscillato tra l'inchiesta giornalistica e l'invenzione narrativa, rifiutando programmi ideologici o di poetica.
Dopo esordi sotto il segno del «realismo magico», alla maniera di Bontempelli, con i racconti Angelici dolori (1937) e L'infanta sepolta (1950), La Ortese, deve soprattutto a Vittorini la scoperta della sua vocazione letteraria: la raccolta di racconti, vicini al neorealismo, Il mare non bagna Napoli (1953, premio Viareggio), vide la luce presso Einaudi nella collana «I gettoni».
Successivamente pubblicò Silenzio a Milano (1958) per approdare in seguito a una narrativa di tono favoloso e allegorico con L'iguana (1965) e a un intimismo quasi cecoviano con Poveri e semplici (1967), cui seguirono i racconti La luna sul muro (1968) e L'alone grigio (1969).
Caratteristica costante della sua narrativa è un intenso autobiografismo lirico, che muovendo da esperienze di vita dure e dolorose esprime l'aspirazione al bene, alla giustizia, all'amore, oscillando tra razionalità ed evasione fantastica spesso spinta fino al barocchismo.
Dopo il romanzo Il porto di Toledo (1975), che è tra le sue opere migliori, minor fortuna ebbero Il cappello piumato (1979), Il treno russo (1983) e In sonno e in veglia (1987).
Chiusasi in un'esistenza appartata, scandita dagli impegni legati a collaborazioni occasionali e soprattutto alla pubblicazione dei suoi romanzi, negli ultimi anni, specialmente dopo il successo dei romanzi Il cardillo addolorato (1993) e Alonso e i visionari (1996), crebbero intorno alla sua opera il consenso del pubblico e l'interesse degli editori.
Alla riedizione dei suoi testi maggiori si accompagnò così la pubblicazione di una raccolta di poesie scritte tra il 1930 e il 1980 (Il mio paese è la notte, 1996) e di una scelta di conversazioni e riflessioni (Corpo celeste, 1997).
La Ortese lavorò inoltre alla revisione di uno dei suoi più significativi romanzi, Il porto di Toledo, la cui nuova edizione apparve a pochi giorni dalla morte.
Di poco successiva è la pubblicazione di altri testi poetici, che erano stati esclusi dalla precedente raccolta del 1996 (La luna che trascorre, a cura del critico e scrittore Giacinto Spagnoletti, 1998.
Tra le ultime pubblicazioni, apparse postume, la riedizione (2000) del secondo libro della scrittrice, L'infanta sepolta, la ristampa di due racconti giovanili (1940 e 1941-42) raccolti nel volume Il monaciello di Napoli (2001), che già contengono in nuce l'universo immaginario di Ortese, e l'intenso libro di prose sparse e riflessioni sulle violenze esercitate dagli uomini sugli animali Le Piccole Persone (2016).
L'ultimo viaggio di Anna Mari Ortese, quello a Parigi, avviene nel 1960. Tre giorni in tutto: venerdì, sabato e domenica.
Un viaggio breve, ma Anna Maria Ortese utilizza una modalità narrativa che le permette di barare con la nozione del tempo.
Il suo testo presenta l'ordine cronologico frammentato di un diario di viaggio. I punti di riferimento sono offuscati da qualche osservazione intermedia e, soprattutto, il lavoro del giornalista si sovrappone a quello dello scrittore.
Prima ancora di pensare alla pubblicare il suo testo in volume, lei combina il processo di prendere appunti diretti con quello delle osservazioni differite, che poi rimodella ancora in seguito.
Il lettore ha difficoltà a capire se l'organizzazione del testo è stata eseguita ore, giorni o, addirittura, anni dopo.
Questo metodo le consente però di stabilire, consapevolmente, un rapporto ambiguo tra il tempo del viaggio reale e quello della scrittura.
Quello che descrive in queste pagine è il suo rapporto con la città come spazio strutturato e costruito, come luogo dove è stata scritta una storia, dove si è sviluppata una cultura e solo questo. In nessun momento dialoga con residenti di Parigi che non siano italiani.
Non vede il volto del suo tassista e nota che "innamorato di Parigi", guida "per conto suo" senza preoccuparsi degli ordini che lei gli impartisce.
Senza contatto diretto con i parigini, è tra lei e la città che nasce un legame, nel momento in cui si accorge che nell'altro può trovare lo stesso e che in questo mondo sconosciuto è contenuto un mondo a lei familiare.
È sintomatico che, a differenza di Milano, di cui ha evocato il silenzio in una raccolta di racconti, Parigi le parli e che lei ascolti il suo "mormorio".
Un mormorio che possiamo ritrovare anche noi nelle pagine del suo libro.
Il mormorio di Parigi di Anna Maria Ortese.
Che bella definizione ci ha lasciato di lei Elio Vittorini.
" È stata una zingara assorta in un sogno ". Queste poche parole ci portano direttamente a lei, in lei, alla sua immagine, dentro la sua vita, nella sua scrittura. Essenziali e precise, ce la traducono per quel che è stata.
La guardo anziana nella piccola foto di copertina del libro che Gabriella Fiori le ha dedicato. La stessa foto riproposta, però con solo il volto in primo piano, da Adelia Battista nel suo Ortese segreta. La stessa donna anziana, leggera e sfuggente, con occhi che si intuiscono attenti e profondi, vivacissimi, sembra esserci per un solo istante. Una visione che scompare alla prima distrazione dello sguardo.
E' così che è stata. Un essere in transito, votata alla precarietà, randagia, nomade, che ha fatto della parola la sua unica dimora, abitandola completamente.
Dentro la parola ha viaggiato, ha inventato, ha sognato ed osservato il mondo. Ha toccato la realtà come protetta da una sfera di cristallo, rendendosi invisibile ma penetrando nell'invisibile.
Che meraviglia leggerla, seguirla nei suoi percorsi onirici, mai lineari nei quali spesso lei stessa a volte si è perduta, smarrita. Per ritrovarla poi sorridente, come un folletto spuntato all'improvviso, vagare per le strade di Parigi, assorta in contemplazione a Pigalle. Immersa in odori e colori, in suoni, gioiosa e splendente nelle sue visioni, sempre un po' più oltre la realtà, sempre un passo indietro o uno avanti. O tutto contemporaneamente.
"Ascolto il brusio di Pigalle,(è notte tardissima, ma Pigalle è accesa come una Via lattea) e non posso dormire, ho paura. Anche prima di partire, una notte, a Milano, ho avuto paura. Guardavo la carta di Parigi, e capivo da quella carta, improvvisamente, la natura
fantastica di questa città, e le sue dimensioni; vedevo la sua struttura, com'era fatta, vedevo i giardini, i fiumi, i colori, i blocchi delle case e la loro pazzesca disposizione, quei quadri che finiscono in triangoli, cerchi, mezzelune; quei rivoli di tegole, da cui escono milioni di comignoli, come dita di migliaia di mani che indicano un punto del cielo. E ci sono dita, cioè comignoli, e poi ci sono occhi e le orecchie sono le dolci-gialle finestre di Parigi nella sera di agosto, in ascolto di tutto, piene di uno sguardo di passione per tutto. E tra la testa e i piedi di queste case-maghe, case dell'altro mondo-, gridano, squillano, cantano tutti i colori dell'arcobaleno, tutti i colori che sono nell'arc-en-ciel di Parigi......"
La ritroviamo in partenza all'alba, " l'alba è un'ora stregata ",alla Gare de Lyon.
Nel mormorio di Parigi una delle voci femminili più belle della nostra letteratura.
"Scrivere, se non è pura vanità o lusso, è cercare un altro mondo. Cercarlo disperatamente".
Doveroso ricordo.
Molto del materiale contenuto in questo post viene dalla traduzione di un lavoro (che consiglio di leggere) eseguito dalla professoressa Marie-Anne Rubat du Mérac, italianista dell'Università di Aix- Marseille, recentemente scomparsa, purtroppo, il 31 gennaio 2022.