Lo scrittore Georges Simenon amava immergersi nella natura. In una qualche misura anche il suo personaggio più famoso, il commissario Maigret, condivide questa passione del suo autore, per l'ambiente naturale e le sue manifestazioni. Da quelle più estreme, come una tempesta, a quelle più semplici come il riverbero di un raggio di sole nell'aria.
Il commissario Maigret si confronta ogni giorno con il lato oscuro dell'animo umano. Sia con l'animo del criminale incallito per il quale la violenza è una dimensione naturale, che con quello dell'uomo comune, fino ad un attimo prima, che per calcolo, per destino o per viltà è giunto a superare la linea invisibile dalla quale non si può più tornare indietro.
Nonostante questo, Maigret, conserva in sé un'estrema sensibilità che le esperienze della sua professione non riescono a scalfire.
Non è un personaggio cinico come tanti suoi colleghi, che pure godono di egual fama, e, se non possiamo certo definirlo un ottimista, troviamo in lui più d'una traccia, se non proprio di speranza, almeno di fiducia negli uomini e nella loro possibilità di riscatto.
Questa sensibilità d'animo in Maigret si manifesta anche attraverso quella sua particolare attenzione ai dettagli esteriori, che potrebbero apparire superflui o superficiali a chi di quella sensibilità fosse privo.
Lo vediamo spesso intento a cogliere una certa qualità dell'aria, l'intensità di un colore, i suoni e i rumori di una via, un odore che rievoca tempi lontani.
Nel bel mezzo di un caso misterioso e difficile, eccolo commuoversi per la sorte di un cane, cogliere il fascino di un paesaggio idilliaco, la poesia del mare o quella di un raggio di sole sulla sua scrivania.
Maigret giocava in un raggio del sole tiepido di marzo. Non giocava con i cubi, come quando era bambino, ma con due pipe. Ce n'erano sempre cinque o sei sul suo tavolo e ogni volta che ne riempiva una la sceglieva con cura, secondo il suo umore. Lo sguardo era vago, le spalle tozze.
Maigret disponeva di un balconcino. Vi indugiava in vestaglia, e la vista era davvero splendida, con la spiaggia vasta e lucente, il mare solcato vele bianche e azzurre. Si aprivano i primi ombrelloni a righe e arrivavano i primi marmocchi col costumino rosso.
Simenon e Maigret affascinati dalla natura.
Georges Simenon ha raccomandato spesso di non confondere il personaggio con il suo autore, perché Maigret non è Simenon. Forse, ad un certo punto della sua esistenza, è stato Simenon ad assomigliare un po' a Maigret.
Nonostante questo non possiamo ignorare che proprio in Simenon si manifesta fin dagli esordi una certa attenzione alla magia del paesaggio. Non una semplice attenzione estetica, ma una sorta di identificazione tra la bellezza del paesaggio naturale e un certo ideale di vita.
Siamo nel giugno del 1920 ed un giovanissimo Simenon giornalista alla Gazette de Liége attraversa la valle del fiume Semois, nelle Ardenne, spingendosi oltre il confine belga, in terra di Francia.
Giunge così in un piccolissimo villaggio che oggi conta poco più di cinquanta abitanti ed allora circa duecento: il villaggio di Williers.
Da questa sua immersione nella natura il giovane giornalista belga ricava due pezzi che verranno pubblicati su la Gazette de Liége a firma Georges Sim.
Il secondo di questi articoli è dell'agosto 1920:
"Lorsque, de Florenville, en Ardennes Belges, on descend vers le Sud, par un sentier sous bois, encaissé par deux pentes raides que les pins rigides font paraître plus escarpées encore, on débouche en un délicieux vallon dont le centre, formé de quelques verges de prés, est bizarrement découpé par un ruisseau.
D’allures fantasques, ces eaux qui ont des coquetteries de petit-maître font mille grâces aux rayons du soleil dont les prismes mouvants accentuent la délicatesse des teintes du lit de cailloux clairs.
C’est la frontière belgo-française, frontière charmante s’il en est, sans que la borne traditionnellement cubique ou le poteau ceinturé de couleurs vives vienne en rompre le charme sauvage. Du côté de la Belgique, un horizon de forêts ; du côté de la France, un sentier sans ombre, escaladant un coteau couvert de hautes herbes. Au faîte, quelques murs crépis à la chaux, quelques toits d’ardoises irrégulières : le village de Williers."
(“Quando da Florenville, nelle Ardenne belghe, scendiamo verso sud, attraverso un sentiero boscoso, racchiuso da due ripidi pendii che i pini fanno apparire ancora più ripidi, sbuchiamo in una deliziosa valle il cui centro, costituito da poche metri di prati, è stranamente tagliato da un ruscello.
Con il loro aspetto fantasioso, queste acque che hanno la civetteria di un damerino fanno mille grazie ai raggi del sole i cui prismi mobili accentuano la delicatezza delle tinte del letto di ciottoli chiari.
È il confine franco-belga, un confine affascinante se mai ce n'è stato uno, senza il tradizionale segnale di confine cubico o il palo circondato da colori vivaci che ne rompono il fascino selvaggio. Sul versante belga, un orizzonte di foreste; sul versante francese, un sentiero senza ombra, che si inerpica su un pendio ricoperto di erba alta. Sul crinale, qualche muro intonacato a calce, qualche tetto irregolare in ardesia: il villaggio di Williers.”)
Quella stessa esperienza ispirerà allo scrittore un passo del suo secondo romanzo giovanile, pubblicato solo dopo la morte dell'autore nel 1991: Jehan Pinaguet.
Anche qui ritroviamo, pur senza che venga esplicitamente nominato, il piccolo villaggio delle Ardenne:
"Il me souvient d’un court voyage que je fis l’an dernier dans les Ardennes françaises. Loin des villes et des gros bourgs, loin des châteaux et des grandes routes, des gares et des télégraphes, je rencontrai là, perché sur une colline boisée, le plus coquet village que quiconque ne vit. Figurez-vous, éclairé par un soleil d’août et par le resplendissement de toute la verdure, le spectacle d’une cinquantaine de maisons, toutes également basses, groupant leurs murs éclatants de blancheur et leurs toits pointus autour d’une église, pas beaucoup plus haute qu’elles, dont le clocheton luisait comme une grande aiguille piquée sur la pelote bleue du ciel. Devant les maisons, des poules grouillaient dans le fumier chatoyant de tons dorés et roux."
(Ricordo un breve viaggio che ho fatto l'anno scorso nelle Ardenne francesi. Lontano dalle città e dai grandi paesi, lontano dai castelli e dalle strade principali, dalle stazioni e dai telegrafi, ho trovato lì, arroccato su una collina boscosa, il villaggio più affascinante che si sia mai visto. Immaginate, illuminato da un sole d'agosto e dallo splendore di tutto il verde, lo spettacolo di una cinquantina di case, tutte ugualmente basse, che raggruppano i loro muri bianchi abbaglianti e i loro tetti a punta attorno a una chiesa, poco più alta di loro, il cui pinnacolo scintillava come un grosso ago conficcato nel puntaspilli azzurro del cielo. Davanti alle case le galline brulicavano nel letame luccicante dai toni dorati e rossi.)
Ed in questo quadro di bucolica bellezza ecco gli esseri umani al lavoro in una dimensione di assoluta serenità:
"De la volaille partout, sur les chemins et dans les venelles, sur les haies et dans les cuisines ouvertes, caquetant, picorant, remuant des plumes de toutes couleurs. Dans les champs, qui avaient peu à peu rongé la forêt, des femmes de tout âge travaillaient sous leurs grands chapeaux de paille, remuaient la pelle et la charrue, entassaient le foin et fauchaient les moissons. Ah ! quel beau village que celui-là, où vivaient deux cents âmes simples, deux cents paysans, ni riches ni pauvres, possédant chacun une bicoque blanche, un bout de champ, une vache et quelques poules ! Quel beau village que celui-là, où chacun travaillait, où les femmes allaient aux champs, soignaient les bêtes, cuisaient les pains, tandis que les mâles peinaient dans les scieries qui émaillaient les bois environnants."
(Pollame ovunque, sui sentieri e nei vicoli, sulle siepi e nelle cucine aperte, schiamazzando, beccando, muovendo piume di tutti i colori. Nei campi, che pian piano avevano divorato la foresta, donne di tutte le età lavoravano sotto i grandi cappelli di paglia, muovendo la pala e l'aratro, ammucchiando il fieno e falciando i raccolti. Ah! che bel villaggio era quello, dove vivevano duecento anime semplici, duecento contadini, né ricchi né poveri, ciascuno con una capanna bianca, un pezzo di campo, una mucca e qualche gallina! Che bel villaggio era questo, dove tutti lavoravano, dove le donne andavano nei campi, si prendevano cura degli animali, cuocevano il pane, mentre gli uomini faticavano nelle segherie che punteggiavano i boschi circostanti.)
Uno stile di vita, una dimensione dell'esistenza, che non è rinuncia ai piaceri del mondo, ma, al contrario, una scelta più autentica ed umana.
"Ni riches ni pauvres, ai-je dit, et partant pas de haines, pas de querelles. Tous trimaient six jours sur sept, et le dimanche, tandis que les hommes jouaient aux boules, en buvant du marc, les femmes bavardaient, assises sur la place publique ou dans quelque champ voisin. Quelles heureuses gens que ceux-là, qui vivent en communion avec l’âpre terre et le ciel qui la vivifie ! Quels braves gens que ceux qui ne se soucient pas d’amasser, mais de manger et de boire tout leur saoul, en respirant l’odeur des champs et des bois!"
(Né ricchi né poveri, dicevo, e quindi niente odio, niente litigi. Tutti lavoravano sei giorni alla settimana, e la domenica, mentre gli uomini giocavano a bocce e bevevano vinacce, le donne chiacchieravano, sedute nella pubblica piazza o in qualche campo vicino. Che persone felici sono queste, che vivono in comunione con la dura terra e il cielo che le dà vita! Quanto coraggiosi sono coloro che non si preoccupano di accumulare, ma mangiano e bevono a sazietà, respirando il profumo dei campi e dei boschi!)
L'articolo completo, al quale appartiene anche l'immagine storica qui proposta, è sul sito ufficiale di John Simenon, figlio dello scrittore.
I romanzi belgi del giovane Simenon li trovi su Amazon in lingua francese.
È in rete un sito dedicato al villaggio di Williers. Purtroppo utilizza ancora il protocollo http e, di conseguenza, non è consigliabile utilizzare un collegamento diretto.
L'indirizzo per chi volesse accedere è il seguente:
http://www.williers.com/index.htm
Simenon dalle Ardenne alla Normandia.
Cinque anni dopo è ancora estate, Simenon si è sposato e vive ormai a Parigi. Da un paio d'anni pubblica i suoi racconti su svariate riviste e le cose iniziano a prendere il verso sperato.
Nell'estate del 1925 con la moglie Tigy trascorre le vacanze a Bénouville vicino ad Etretat in Normandia. Sono ospiti di una coppia di amici.
Bénouville è un villaggio piccolissimo, oggi conta un po' più di 2000 abitanti, ma nel 1925 ne annovera circa 340. Intorno un'infinità di piccoli poderi coltivati amorevolmente che si intersecano gli uni negli altri. Una pianura perfettamente piatta che a nord si affaccia su alte scogliere e sulla distesa azzurra del mare.
In lontananza, verso est, le case di Etretat.
Etretat appariva candida e innocente, con le sue case troppo piccole, troppo graziose, troppo ben dipinte per ospitare un dramma, con le scogliere sullo sfondo che emergevano dalla foschia proprio come nelle cartoline esposte all'ingresso dell’emporio.
Sono parole dello stesso Simenon e, in trasparenza, ecco emergere ancora quella fascinazione che quei luoghi bucolici esercitano sullo scrittore.
Dunque il nottambulo impenitente delle notti parigine, il giornalista che dall'età di sedici anni frequenta senza timore né vergogna i luoghi più intriganti, peccaminosi e malfamati, di Liegi prima e di Parigi poi, sembra possedere, nel profondo, un'anima agreste che si commuove, o almeno si appassiona, davanti ad un bel tramonto, ad un cielo terso sopra il mare argentato e una verde campagna?
Pare proprio di si. Qualcuno ha detto che, in fondo, Simenon non ami Parigi. Non saprei dire se sia veramente così. Certo è che ci vive pochissimi anni nel corso della sua vita.
È un fatto che adorasse La Rochelle, città costiera della Charente-Maritime, l'isola di Porquerolles in Provenza, i viaggi per mare e lungo i canali navigabili. Anche durante il suo soggiorno negli Stati Uniti o in Svizzera, non saranno certo le grandi città ad attrarlo.
Come ripeto, non posso dire se Simenon amasse o meno Parigi. Certo ne ha colto il fascino.
Altrettanto certo è che lui non era un "parigino", così come non lo è Maigret.
Entrambi sanno cogliere la poesia del rapporto uomo-natura anche nei più piccoli dettagli:
Talvolta, a Parigi, si lamentava di non trovare più certe sensazioni di cui conservava nostalgia: una folata d'aria intiepidita dal sole sulla guancia, il gioco della luce tra le foglie o sulla ghiaia che scricchiola sotto i passi della folla, e perfino il gusto della polvere...
Venendo dall'androne buio e fresco, il cortile sembrava quasi allegro, tra le pietre del selciato cresceva persino un po' d'erba, il sole batteva in pieno sulla facciata dall'intonaco giallastro dell'edificio in fondo, un falegname nella sua bottega segava del legno che emanava un buon odore e in una carrozzina dormiva un bambino a cui la madre di tanto in tanto gettava un'occhiata.
Come siamo lontani dal drammaturgo decisamente "parigino" Fabrice-Delphi, che, esasperato dalla vita bucolica via da Parigi, scrive senza ritegno alcuno alla madre:
I piaceri della campagna, mamma: una brutta invenzione di uno scrittore seriale a corto di copie. No, non sono idilliaco. La campagna non mi fa vomitare versi. Non sono estasiato dalla bellezza dei panorami, dal volto fresco delle contadine. Non mi diverto a raccogliere violette, viole del pensiero, giacinti nel bosco. Non ho quell'anima da modista cara ai poeti contemporanei. Quando voglio un bouquet, telegrafo a Parigi e ricevo i fiori il giorno dopo. Odio i bouquet contadini, grossolani, composti senza alcuna preoccupazione per la forma, la disposizione, il colore.
Simenon e Maigret: fiducia senza illusioni.
Simenon è tante cose insieme. In lui convivono caratteri e tensioni differenti, spesso anche opposte le une alle altre. Uno scontro intimo e quotidiano dal quale egli si salva scrivendo e vivendo. Entrambe le cose con uguale enorme intensità.
Maigret, al suo opposto, è sempre se stesso nella sostanza. Monolitico e plastico insieme penetra negli altri senza esserne penetrato.
Tutti e due guardano all'uomo e alla sua vita o, meglio, ai suoi tanti modi di vivere possibili senza cinismo, né facile ottimismo. Solo con una certa fiducia mai del tutto domata dall'esperienza.
Così non deve stupire se i nottambuli lungo i boulevards di Parigi suscitano in loro lo stesso interesse delle mucche normanne che pascolano sul bordo di una falesia che sovrasta il mare infinito.
La nebbia al tramonto sui campi dell'Ile de France, il canto di un usignolo sugli alberi lungo le sponde placide d'un canale navigabile, evocano emozioni diverse, ma non meno intense di quanto possa fare l'urlo di una sirena da nebbia in un porto della Manica, la lunga teoria di chiatte che scivola sulla Senna, trascinata da un rimorchiatore tossicchiante, il traffico incessante sui viali di Parigi, l'esplosione ritmica di un'orchestra creola, in una cave di Montparnasse nel cuore della notte.
Lontano, in prospettiva, una casetta di campagna, a Meung-sur-Loire, per il commissario, e per Simenon?
Una casetta di campagna nel bel mezzo di alti palazzoni al 12 di avenue des Figuiers a Losanna.