Da Vichy a Sigmaringen solo andata.
Corinne Luchaire è stata una stella ed una promessa del Cinema francese di fine anni '30, ma il suo destino è stato segnato da eventi più grandi di lei e la sua carriera è finita in pochi anni come, del resto, la sua stessa vita.
L'abbiamo lasciata a Parigi al culmine del suo successo, la ritroviamo ora nel magnifico quanto tetro castello di Sigmaringen dove, lei, il padre ed altri esponenti del Governo di Vichy hanno trovato un precario rifugio.
Il 10 luglio del 1940 un voto parlamentare decise l’attribuzione dei pieni poteri al Maresciallo di Francia Henri Philippe Pétain. Si trattò dell’ultimo atto politico della Terza Repubblica francese.
La guerra contro la Germania iniziata il 3 settembre del 1939 aveva visto la Francia soccombere all’offensiva tedesca del 10 giugno ’40; il Governo in carica si dimise ed il Presidente della Repubblica, preferendo evitare l’umiliazione di trattare la resa con il nemico, decise di affidare le sorti dello Stato all’anziano Maresciallo Pétain, eroe della prima guerra mondiale.
L’atto formale del 10 luglio rappresenta anche l’atto di nascita di un’entità politica e amministrativa denominata État Français (Stato Francese), meglio nota a i più come la Repubblica di Vichy.
Lo Stato Francese, pur essendo fortemente condizionato dalla presenza tedesca su gran parte del suo territorio, ebbe il riconoscimento della quasi totalità dei governi mondiali, Stati Uniti compresi. Unica eccezione il Regno Unito e gli stati del Commonwealth.
La storia di questa effimera repubblica coincide con gli anni dell’occupazione tedesca della Francia. Gli anni del secondo conflitto mondiale e dell’invasione alleata dell’Europa con lo sbarco in Normandia.
Il Governo dello Stato Francese cessò di esistere sostanzialmente il 20 agosto del 1944, con le dimissioni di Pétain e l’avanzata ormai inarrestabile delle forze Alleate verso Parigi.
Il nemico è alle porte e con esso la resa dei conti si avvicina. Il vecchio Maresciallo e moltissimi membri del suo Governo convergono allora nella cittadina tedesca di Sigmaringen, dove, sotto la guida di Fernand de Brinon, è costituita la cosiddetta “Commissione governativa“: una sorta di governo in esilio, senza poteri e senza illusioni.
Due piccole città europee unite dalle vicissitudini della storia. La Storia con la S maiuscola, che nulla concede ai drammi personali dei singoli individui trascinati nella tempesta.
Vichy è una famosa città termale della Francia meridionale, dipartimento dell’Allier. Per gli appassionati di Maigret è nota, soprattutto, in quanto teatro di una inchiesta del commissario, scritta da Georges Simenon nel 1967.
Maggiore notorietà storica viene a questa cittadina, che oggi vanta meno di 26.000 abitanti, dall’essere stata negli anni dal 1940 al 1944, la sede del Governo dello Stato Francese, costituitosi dopo la sconfitta militare della Francia da parte della Germania di Hitler.
La scelta di stabilire la sede del Governo provvisorio (la capitale dello Stato rimaneva formalmente Parigi) cadde su questa città turistica per due motivi fondamentali: la disponibilità di molti alberghi che permettevano di ospitare i membri del governo ed il loro entourage e la presenza della principale centrale telefonica francese fuori Parigi.
Sigmaringen è anch’essa una cittadina meridionale, ma solo per modo di dire: sorge a sud di Stoccarda, nel distretto di Tubinga, Land del Baden-Württemberg.
Come Vichy anche la cittadina tedesca di Sigmaringen, che di abitanti ne ha circa 15.000, vanta un fiume che l’attraversa. In Germania è il Danubio mentre in Francia è l’Allier, principale affluente della Loira.
Se a Vichy la principale attrazione sono le terme, a Sigmaringen è il grande castello che domina la città dall’alto, a rappresentare l’attrazione principale. Il castello di Sigmaringen nasce come fortezza militare nel lontano XI secolo e poi, successivamente rimaneggiato, divenne lussuosa dimora della casata dei Principi Hohenzollern-Sigmaringen, che ancora lo possiedono.
Quando, tra il 17 e il 20 agosto del 1944, il Governo del Maresciallo Pétain, si dimise in blocco, i tedeschi trasferirono l’anziano maresciallo e i suoi principali collaboratori proprio a Sigmaringen. Così, sulle rive del bel Danubio (che in quella zona è, forse, più verde che blu), si ricostituì, temporaneamente, una sorta di governo francese in esilio.
Detto questo, dopo aver raccomandato di prenotare da questa stessa pagina la vostra vacanza a Sigmaringen o, se preferite, a Vichy, passiamo dalla Grande Storia a quella più piccola e sicuramente più miserabile, di alcuni fra i molti che, giunta la primavera del 1945, si provarono con ogni mezzo disponibile a fuggire dalla cittadina tedesca e dal suo castello, in cerca di salvezza dalla furia dei vincitori.
Sigmaringen addio.
Ritroviamo fra i tanti fuggiaschi l’esile silhouette di una giovane attrice francese, idolo del cinema sul finire degli anni ’30 e di cui abbiamo già narrato la vicenda in un post precedente: Corinne Luchaire.
Il Cinema e le feste parigine sono ormai il passato remoto. Il presente è la minaccia ormai incombente del nemico alle porte. Il futuro un buco nerissimo di incertezza e paura.
Quando i fatti della vita prendono a scorrere in modo tumultuoso e caotico, senza dare la possibilità di alcun controllo, noi, lì nel mezzo impotenti, vaghiamo come in balia di un vento forte o di un torrente impetuoso. Risulta difficile trattenere in se i dettagli dei fatti, dei gesti, degli eventi, che si susseguono nostro malgrado; impossibile distinguere voci e volti di chi ci è vicino o particolari accurati dell’ambiente intorno.
Men che meno è possibile cogliere il fascino della primavera più radiosa, o il plumbeo grigiore di un giorno di pioggia, o qualunque altra cosa intorno a noi. Perché la nostra mente sembra essersi liquefatta o pietrificata. Nulla penetra, nulla si trattiene.
Quando tutto intorno crolla e il domani è solo incertezza e paura, non vi è sole abbastanza radioso da scaldare il cuore, o gelo tanto intenso da richiamare i sensi al presente.
Nonostante questa impotenza, può accadere che un nuovo e più crudele colpo del destino ridesti la coscienza, per un’istante, e permetta di cogliere, con stupore, i dettagli del mondo intorno a noi. Sorprende scoprire, in quel momento di lucidità, che la natura e la vita continuano imperterriti e indifferenti a tutto e, soprattutto, a noi e alla nostra tragedia.
Qualcosa di simile doveva agitarsi nell’animo di Corinne e delle altre persone ammassate in qualche modo nelle auto nere, mentre queste ripartivano in direzione delle superbe vallate austriache, dopo il cortese quanto fermo diniego delle guardie di frontiera svizzere.
I fuggiaschi riprendono il viaggio lasciandosi alle spalle le acque azzurre, placide e indifferenti, del lago di Costanza e la speranza infranta di un sicuro rifugio in Svizzera.
Non è certo una gita turistica, quella intrapresa dagli occupanti delle vetture in quel mattino di maggio: è una fuga.
Le auto sono state messe a disposizione degli occupanti da Fernand de Brinon, eminente membro di quella Commissione governativa che durante l’esilio in Germania ha sostituito l’ormai dissolto Governo di Vichy.
Sono tutti partiti in fretta e furia, quel mattino. Dopo aver lasciato Sigmaringen il 21 aprile, da giorni vagano disperatamente da un albergo all’altro. Un primo tentativo di rifugiarsi in Liechtenstein è fallito miseramente. Ora l’obiettivo della carovana è la Svizzera.
La giornata è quella del 3 maggio 1945 e i fuggitivi, tutti francesi in esilio in Germania, sono, a vario titolo, compromessi irrimediabilmente con quello che fu il governo del maresciallo Pètain.
Sulle auto, fra gli altri: Marcel Deat (Ministro del lavoro), con la moglie Hélène Delaveau e Jean Luchaire (Presidente della corporazione stampa francese), con la moglie Françoise Besnard, le figlie Corinne, Monique e Florence.
In aggiunta alla famiglia Luchaire: il fidanzato di Florence, René Arrieu, e la figlia di Corinne, Brigitte, nata da meno di un anno.
L’obbiettivo iniziale, come si è detto era la Svizzera neutrale, ma la frontiera è ermeticamente chiusa per gli scomodi ospiti francesi.
Lunghe ore in auto, tra vallate verdissime, verso un’ultima speranza possibile quanto illusoria.
La meta di ripiego è ora l’Italia: per l’esattezza il Tirolo. Lì si spera di potersi nascondere nelle valli montane e, con un poco di fortuna, passare inosservati.
Non è difficile immaginare la tragica atmosfera di quel viaggio il cui esito finale si fa ad ogni ora più incerto. Per tutti gli equipaggi del lugubre convoglio la cattura significherebbe di certo il carcere. Per alcuni probabilmente la morte.
Parigi è un ricordo lontano ormai. Lontano e perduto: forse per sempre.
Corinne tiene fra le braccia la piccola Brigitte, che non ha ancora un anno e, forse per la prima volta in vita sua, l’incertezza del futuro non le appare più come un vuoto malessere da riempire: sembra solo un incubo scuro da cancellare.
Appena un anno prima ci si poteva ancora illudere: si poteva ancora sperare che l’epilogo sarebbe stato diverso. Oppure era solo un’illusione? Tutto era già perduto e solo lei non lo capiva?
Era maggio anche allora: il 10 maggio 1944. Sua figlia Bigitte nasceva quel giorno, a due passi dal Parco dei Principi e a dieci dal Bois de Boulogne.
La Clinique du Belvédère era famosa per il suo reparto maternità, lo è stata fino a non molti anni fa, (vi è nato anche il figlio di Sylvie Vartan) poi ha chiuso nel 2003 per questioni finanziarie: era la clinica delle Star. Un po’ come dire che era l’unico ospedale di Parigi dove potesse, ragionevolmente, venire al mondo la figlia di Corinne Luchaire.
Brigitte, Marie-Christine, Costance, dichiarata alla nascita di padre ignoto.
Non che il padre fosse ignoto veramente. La questione è decisamente più complicata, nella sua banale semplicità esistenziale.
Corinne ha contratto matrimonio il 27 dicembre 1941. Il marito è un sedicente aristocratico, ex legione straniera, trasformatosi in uomo d’affari. Traffica indifferentemente con tedeschi e borsa nera. Sostanzialmente un avventuriero, misterioso ed affascinante quanto il suo nome: Guy de Voisin Lavernière. Nozze stravaganti, dopo un fidanzamento che seppur brevissimo è durato assai più del matrimonio stesso.
Sembra che subito dopo le nozze i due sposi prendano ognuno la propria strada come nulla fosse. Lei rimane a Megeve ed al suo giro di amicizie dorate, lui riparte verso i suoi traffici e le sue avventure. L’anno successivo sarà arrestato a Marsiglia dalla polizia vichysta e passerà alcuni giorni in carcere prima d’essere liberato su pressione tedesca. Forse non fu del tutto estranea alla sua liberazione l’influenza politica del suocero.
Il padre di quella bimba non è quindi il marito di lei, bensì un pilota tedesco della Luftwaffe, Wolrad Gerlach, di stanza nel campo d’aviazione di Saint-André de l’Eure e che la giovane attrice francese incontrerà di lì a poco a Parigi.
È il 1942 e Corinne è rientrata nella capitale: alloggia all’hôtel Castille in rue Cambon. Fino a poco prima era a Megeve a curarsi la tubercolosi. Cercando di dare tregua ai polmoni sfiniti, ma anche a tubare con il marito di un’amica (campione di sci). Bagni di sole nudi insieme, imboscata della moglie di lui, scandalo, tentativo di suicidio di Corinne. Tutto molto francese!
Ma ora siamo a Parigi e la giovane attrice non si risparmia. La vita brucia come i suoi polmoni e le tante sigarette, che servono anche a nascondere il vero motivo di quella tosse così frequente. Durante una cena chez Maxim’s, alcuni amici conosciuti proprio a Megeve, le presentano due ufficiali austriaci d’aviazione.
Per Corinne è finalmente il momento dell’amore.
Come tutto appare incredibile, ora, poco più di un anno dopo, mentre, oltre il finestrino dell’auto scura, i monti sfilano rapidi senza soluzione di continuità e la notte, gelida anche in maggio, si avvicina irrimediabile come il destino.
Ora è in fuga e non vi è certezza di futuro.
Qualcosa di simile, pur se infinitamente diverso, le era accaduto anche cinque anni prima, in un’altra primavera che ora forse le ritorna alla mente come dalla nebbia d’una lontananza infinita.
Roma 1940: Corinne Luchaire gira a Cinecittà il suo ultimo film, dal titolo a dir poco profetico: Abbandono.
L’ha voluta il regista italiano Mario Mattoli e lei, incurante della situazione politica sempre più drammatica e delle tensioni tra Italia e Francia, si è precipitata sul set romano senza alcuna esitazione.
Del resto l’accoglienza italiana è stata più che adeguata al suo ruolo di vedette internazionale. In sovrappiù, a rendere indimenticabili le “vacanze romane” della star francese, ha provveduto personalmente il Ministro degli esteri italiano Galeazzo Ciano, improvvisatosi subitamente suo pigmalione.
Ciano e Corinne si erano conosciuti a Venezia nel 1938 alla Mostra internazionale del cinema.
Il dongiovanni italiano in orbace non perde un attimo e, fedele alla sua fama di tombeur des fammes, si prende in carico le ore libere dal lavoro di Corinne.
Giusto il tempo di terminare la lavorazione sul set e la situazione precipita improvvisamente.
Un po’ a causa delle voci sempre più insistenti su di una relazione tra l’attrice francese ed il Ministro italiano; voci arrivate anche alle orecchie di Edda Mussolini: moglie di Ciano.
Molto di più perché i venti di guerra ormai soffiano prepotenti. La Germania ha scatenato un’offensiva devastante e l’ingresso in guerra dell’Italia appare sempre più probabile se non inevitabile.
Un rientro in Francia precipitoso, quasi quanto la fuga di cinque anni dopo dalla Germania in fiamme. Un avvenire incerto e insicuro, anche allora, ma stemperato grandemente dall’incoscienza dei suoi diciannove anni e da quel senso di superiorità alle cose del mondo che solo successo e fama possono donare.
Corinne ritorna in una Parigi in subbuglio. Le armate tedesche sono alle porte e chi può si prepara a sfollare in cerca di un luogo sicuro in cui aspettare gli eventi.
Il padre di Corinne, Jean Luchaire, ha chiuso il suo giornale e si prepara a spedire la famiglia verso Saint-Brieuc, nel dipartimento delle Côtes-d’Armor, in Bretagna.
È qui che la giovane attrice ha i primi contatti con l’occupante. Lei li trova corretti, questi giovani ufficiali tedeschi, benché il vedersi attorniata da soldati che indossano un’uniforme straniera la metta a disagio.
A settembre, dopo l’armistizio, rientra a Parigi. Nella capitale i Luchaire, a quel tempo, abitano ancora l’appartamento al 23 di rue Raynouard a Passy, nel 16° arrondissement, sarà solo nell’agosto del ’42 che Jean Luchaire acquisisce il castello di Saint-Lazare a Vernon, settanta chilometri a nord di Parigi in direzione Deauville, e lì trasferisce la famiglia.
Lui, naturalmente rimane a Parigi e si reca a Vernon solo nei fine settimana, accompagnato da amici e collaboratori. È l’uomo più potente della stampa francese e i tanti impegni gli consentono poco tempo per la famiglia.
Poco male. La figlia maggiore, e prediletta, Corinne, è molto spesso nella capitale. Lavora alla radio, frequenta l’alta società, segue il padre ai ricevimenti obbligati presso l’Ambasciata tedesca e, nei tempi morti, è la regina delle notti parigine.
Il padre non le è da meno: ha una amante, Yvette Lebon, attrice anche lei (ma non è l’unica), ama la vita notturna e, si sa… il suo lavoro pretende contatti di ogni genere e frequentare certi ambienti è quasi d’obbligo.
Così, da una notte all’altra, la vita fugge veloce, inconsapevole della tragedia circostante e del tragico finale imminente.
Proprio Yvette Lebon dirà di quegli anni con grande sincerità:
Je ne sais jusqu’à quel point on se rendait compte. Quand on était un peu privilégié, il y avait du champagne. On ne manquait de rien.
Ora però è il maggio del 1945. Il suo giovane amore è scomparso tra le fiamme del fronte orientale. A Sigmaringen, quando lei era ricoverata e stava male ed a curarla era un medico dall’aspetto trasandato di nome Louis-Ferdinand Céline, il padre di Brigitte è venuto a cercarla, ma la madre di lei ha impedito l’incontro. Lui ha chinato il capo e se n’è andato.
La Storia, la piccola storia dei piccoli uomini, ora chiede il conto e innanzi agli occhi di Corinne Luchaire, solo i coni di luce ristretti dei fari di sicurezza delle auto. Tutto intorno il buio delle vallate austriache nella notte imminente.