Le attività clandestine di Marcel Petiot, personaggio di cui stiamo ricostruendo pazientemente la vicenda, raggiungono un discreto livello di notorietà già a partire dal dicembre del 1942.
Nella primavera del 1943 i funzionari della Gestapo parigina sono più che mai intenzionati a catturare l'artefice degli espatri clandestini che, pare, consentano a numerosi nemici del Reich di sfuggire alla cattura.
Robert Jodkum, incaricato delle indagini, organizza, minuziosamente, una trappola per catturare il fantomatico dottor Eugene, ritenuto il capo dell'organizzazione.
Non sa ancora che dietro quel nome di battaglia si nasconde Marcel Petiot: uno dei più crudeli assassini seriali di Francia.
La trappola della Gestapo scatta il 19 maggio 1943.
La Trappola della Gestapo contro Petiot.
Dalle finestre spalancate sulla sera che ormai incombe, non c'è modo di vedere la Senna.
Non ci si può incantare ad osservare i riflessi di luce sull’acqua, i battelli e le chiatte che scendono e salgono lungo il fiume, i pescatori silenziosi con le loro lenze distese, la folla che scorre sul Pont Neuf.
La sede della Gestapo al civico 11 della rue des Saussaies non è come il Quai des Orfèvres di Maigret.
Ciò nonostante, nell’imminente sera di quel 19 maggio 1943, l’Hauptsturmführer SS Robert Jodkum proprio non riesce a starsene seduto tranquillamente alla sua scrivania.
In piedi, le mani dietro la schiena, osserva, di là dai vetri, l'esile prospettiva di rue Montalivet perdersi in lontananza. Poca gente per strada, poca gente anche nei bar di quel tratto di via parigina dell’ottavo arrondissement.
I suoi pensieri sono altrove. Quel 19 maggio non è un giorno come gli altri. È in corso una partita decisiva. Una partita da cui dipende il successo di un’importante operazione di polizia.
Le Pazienti Indagini della Gestapo.
Sono mesi, ormai, che Jodkum lavora ostinatamente a risolvere il caso.
Le prime voci sull’esistenza a Parigi di una rete clandestina, operativa nell’organizzare l’espatrio di nemici del Reich, hanno iniziato a circolare nel dicembre dell'anno precedente.
Ricchi ebrei, timorosi per la loro vita e i loro beni, combattenti clandestini in odore d’essere catturati, persino semplici malavitosi con il bisogno urgente di cambiare aria.
La Sezione IV-B4 della Gestapo di rue des Saussaies ha proprio il compito di combattere contro organizzazioni come quella e, lui, fin da subito aveva sguinzagliato i suoi agenti allo scopo di raccogliere informazioni più precise e, per quanto possibile, provenienti da fonti controllabili.
Individuare i primi soggetti coinvolti nel traffico non è stato poi così difficile.
Un barbiere di rue des Mathurins e un ex attore, squattrinato e trafficone, ben introdotto nel Milieu parigino.
Gli informatori sguinzagliati sul caso hanno raccolto le voci circolanti per strada, ed un primo quadro dell’organizzazione è stato facilmente delineato.
In rue des Mathurins, il negozio del parrucchiere Raoul Fourrier serve da punto di contatto fra la Centrale di espatrio e suoi “clienti”.
Lì arrivano i potenziali interessati all'espatrio, lì vengono presi gli accordi, stabilito il prezzo, consegnate le fotografie necessarie alla realizzazione dei documenti falsi.
Edmond Pintard, l’ex attore, è il soggetto che ha il compito di spargere discretamente la voce, reperire i “clienti” e indirizzarli da Fourrier.
Il barbiere opera certamente ad un livello più elevato: è assai probabile che abbia contatti diretti con il fantomatico dottor Eugene: l'uomo che organizza concretamente le fughe all'estero.
Di tutto questo Jodkum era ormai certo.
Arrestare questi due personaggi di secondo piano non sarebbe una mossa decisiva. Molto più importante è scoprire l’identità dei capi e degli altri componenti la rete.
Su quel versante la Gestapo continua a brancolare nel buio.
Un solo nome è emerso fino a quel momento: quello, appunto, del Dottor Eugene.
Chi è costui? Che ruolo ha nell’organizzazione? È un nome vero il suo, o un nome di battaglia dietro il quale si nasconde chissà chi?
Come opera in concreto l'organizzazione clandestina?
Da alcune fonti è emerso il nome di un luogo: Irun.
Un porto spagnolo nei Paesi Baschi a poca distanza dal confine francese. Da quel porto è possibile che i fuggitivi vengano condotti in Portogallo e poi alla meta finale in Africa o in Sudamerica.
Solo voci. Nulla di veramente certo. E Jodkum ha bisogno di esserne certo.
Per questo ha montato con maniacale precisione l'operazione di polizia che proprio in quel momento è in pieno svolgimento a Parigi.
Jodkum e i suoi uomini dopo aver analizzato tutte le informazioni in loro possesso, sono giunti alla conclusione che quel materiale non sarebbe bastato a risolvere il caso.
-Servono dati più precisi. Dobbiamo trovare il modo di infiltrare l'organizzazione clandestina.-
La cosa appariva a tutti i suoi sottoposti, più semplice a dirsi che a farsi.
- Non possiamo infiltrare uno dei nostri. Un tedesco lo scoprirebbero subito. Un francese, forse potrebbe cavarsela, ma il rischio di fallire è alto.-
Jodkum aveva guardato a lungo fuori dalla finestra, anche in quell'occasione, come se l'intuizione giusta potesse arrivare dal cielo o da chissà dove.
- L'uomo giusto deve essere uno dei loro- Molti sguardi perplessi attorno a lui.
- Ci serve uno che abbia avuto contatti con la Resistenza. Non un combattente ben addestrato e fortemente motivato: non sarebbe gestibile. Il candidato ideale è un personaggio di secondo piano, rispettato nell'ambiente, ma con un ruolo di scarso rilievo e motivazioni ideali fragili. Possibilmente ricco. Uno che, per salvare se stesso e, soprattutto i suoi cari, potrebbe anche arrivare a tradire.-
- Trovatemi un tipo così nelle nostre carceri e lo potremo utilizzare come Cavallo di Troia per giungere al cuore dell'organizzazione.-
Il colpo di fortuna era arrivato anche troppo presto. Un soggetto che poteva rivelarsi adatto venne individuato a marzo del 1943 e l'operazione, quindi, prese il via.
L'uomo era ricco, era ebreo ed aveva collaborato con la Resistenza in modo abbastanza indiretto. Aveva una moglie e una figlia e il dettaglio non guastava. Si trovava in carcere con la prospettiva d'essere deportato quanto prima in un campo di prigionia in Germania. In sovrappiù, risultava che la moglie si stesse dando molto da fare per rintracciare qualcuno in grado di intercedere per il marito ed ottenerne la liberazione.
Bisognava contattarlo con discrezione, fargli balenare la possibilità di cavarsela in cambio del pagamento di un riscatto in denaro. Una volta liberato, messo di fronte alla prospettiva di perdere tutto un'altra volta, sarebbe stato facile ottenere la sua collaborazione.
Tutto si era svolto come da copione e, quella sera, l’operazione meticolosamente organizzata da Jodkum, avrebbe finalmente permesso di smascherare il misterioso dottor Eugene e, quasi certamente, anche qualche altro componente del gruppo operativo.
Ecco perché, in quelle ore, l’Hauptsturmführer non può restarsene calmo e tranquillo nella poltrona del suo ufficio e guarda fisso oltre i vetri come se, ancora una volta, dal cielo o dai muri delle case di fronte, potesse giungere un qualche messaggio confortante.
Aspetta notizie sull’esito dell’operazione e, ormai, inizia a sentirsi impaziente e un po’ preoccupato.
La partita è in corso e l’esito finale per nulla prevedibile.
Lo Scatto della Trappola.
Parigi, Rue des Mathurins. Due uomini escono rapidamente da un negozio di parrucchiere. Camminano fianco a fianco senza proferire parola. Imboccano rue d’Anjou e proseguono a passo svelto in direzione sud.
Giunti all’altezza del Boulevard Malesherbes, svoltano a sinistra percorrendo il viale in direzione di Place de la Madeleine.
Quando i due imboccano rue Royale, l’agente della Gestapo che li segue, discretamente, fin da quando hanno lasciato rue Mathurins, inizia a chiedersi se il loro obiettivo non sia per caso Place de la Concorde.
Infatti è proprio lì che si dirigono i due.
Uno di loro è Raoul Fourrier, il barbiere complice del dottor Eugene nell’organizzazione delle fughe all’estero di ebrei e resistenti in pericolo.
L’altro è Yvan Dreyfus: un ricco importatore di apparecchiature radioelettriche di Lione, di fede ebraica, che ha utilizzato la sua azienda per fornire radiotrasmettitori alla Resistenza. Arrestato dalla Gestapo a Montpellier, era, fino a pochi giorni prima, in attesa d’essere deportato in un campo di concentramento.
Fourrier sta accompagnando Dreyfus all’appuntamento finale con il dottor Eugene: tutti i dettagli per la fuga sono già stati concordati in precedenza, durante un incontro in rue Mathurins, il 15 maggio. Incontro al quale ha partecipato anche il dottor Eugene in persona.
Sembra il copione classico di ogni fuga organizzata come si deve, ma questa volta Eugene e i suoi complici non sanno che Dreyfus sta facendo il doppio gioco: anzi il triplo.
L'Arruolamento di Yvan Dreyfus.
Fino a non più di dieci giorni prima, Yvan Dreyfus, era ancora rinchiuso nel carcere di Compiègne, in attesa del suo destino e con nessuna speranza che questo potesse rivelarsi gradevole.
Verso la fine di aprile il Destino si era materializzato nella sua cella, nella persona di un tal Monsieur Pierre Péhu, un soggetto che Dreyfus non aveva mai visto in vita sua.
Péhu è latore di notizie tanto confortanti quanto incredibili: la Gestapo si è dichiarata disponibile al suo rilascio in cambio di una cospicua somma di denaro.
L’iniziativa è stata suggerita alla moglie di Dreyfus, Paulette, da amici non meglio precisati.
La donna ha contattato le persone giuste e la trattativa per il rilascio è in corso. La cifra pattuita si aggirava sui tre milioni e mezzo di franchi.
In altre circostanze una proposta del genere lo avrebbe forse insospettito, ma, chiuso in quella cella e senza nessuna ragionevole prospettiva di salvezza, il suo livello di guardia è decisamente mediocre. La speranza finisce per avere la meglio sulla lucidità. Oppure, semplicemente, messo di fronte al certo per l’incerto, Dreyfus sceglie di rischiare: non ha più nulla da perdere infondo.
Ai primi di maggio il riscatto viene versato e, Dreyfus, puntualmente liberato.
Ora, mentre percorre le vie di Parigi al fianco di quello strano barbiere, Dreyfus, ricorda il momento della sua liberazione come qualcosa di assolutamente irreale.
La porta del carcere si era aperta e lui era uscito senza che nessuno degli agenti di guardia avesse nulla da eccepire. Fuori dalle mura del carcere, Rue Jean-Jacques Bernard appariva completamente deserta a quell’ora mattutina. Solo un'auto scura parcheggiata di traverso al piazzale.
Paulette in piedi accanto alla portiera aperta. Pierre Péhu, in persona, seduto al volante con una Gauloises fra le labbra.
Erano partiti immediatamente. Boschi e campagne che scorrevano via. Due ore di viaggio, forse un po’ di più. Nessuna sosta, nessuna parola. Poi finalmente Parigi e Place de la République.
Rue Meslay: la macchina parcheggiata sul bordo del marciapiede. Ecco l'Hotel più costoso del Mondo!
Quasi quattro milioni di franchi per una stanza.
Ne valeva la pena comunque. Lui e Paulette di nuovo insieme. Soli e liberi.
L'illusione era durata esattamente quanto il viaggio in auto.
-I nostri documenti di identità?-
Niente documenti? Allora ci hanno fregato!
Senza documenti è esattamente come essere in galera.
Impossibile circolare per strada. Un semplice controllo della polizia, fuori o anche in albergo, e si ritroverebbero entrambi in cella.
Lasciare la Francia? Difficile anche con i documenti. Senza è assolutamente impossibile.
Rivede Péhu volgere loro la schiena ed andarsene. Nessuna spiegazione, solo un saluto, quasi furtivo.
Nella Hall, elegante e silenziosa, tappeti e boiserie, mobili in legno scuro, poltrone in pelle. Un facchino anziano caricava su di un carrello il loro scarso bagaglio, mentre, in piedi dietro il banco in legno della reception, l’impiegato di turno non sembrava provare il minimo interesse per loro.
Da un’ampia poltroncina in pelle scura, un uomo elegante era venuto deciso verso di loro e ora gli tendeva la mano, gioviale e disinvolto. Sul volto un sorriso che più accattivante non si può. Il sorriso di un uomo abituato a trattare qualunque cosa con chiunque e a qualsiasi costo.
- Madame Paulette…Monsieur Dreyfus…Molto piacere. Sono Jean Guélin e sono a vostra disposizione.-
Mme Dreyfus conosce bene quell'uomo: è grazie a lui che ha ottenuto la liberazione del marito.
Quell’uomo, elegante e disinvolto, è un lionese, già sindaco di un piccolo comune nel dipartimento delle Deux-Sèvres.
Ex avvocato, radiato dall’ordine per questioni di borsa nera, ora si è trasferito a Parigi ed è in affari con gli occupanti. Dirige un’azienda commerciale e l’attività sembra gli renda piuttosto bene. Tanto bene da garantirgli una bella abitazione in rue de Longchamp e la proprietà di un ristorante, lo Zardas, in rue de Sèze.
Uomo di mondo, conosciuto in società, Guélin, è anche coinvolto nella direzione del Théâtre des Nouveautés e del Théâtre Edouard-VII, insieme al collega Marcel Dequeker.
Soprattutto, Jean Guélin, è uno dei discreti collaboratori dell’Hauptsturmführer SS Robert Jodkum.
Dopo l'arresto del marito a Montpellier e il suo trasferimento nel carcere di Compiègne Paulette non si era voluta arrendere e, fin da subito, si è rivolta, con tutta la discrezione possibile, a tutti coloro che potevano in qualche modo esserle d'aiuto.
Il denaro non sarebbe stato un problema.
Così, bussando di porta in porta era arrivata Marcel Dequeker, indicatole come possibile soggetto in grado d'esserle d'aiuto.
Dequeker si era mostrato subito disponibile. Aveva contattato l'amico Guélin e, a questi, non era sembrato vero d'avere per le mani proprio un soggetto potenzialmente utile ai piani della Gestapo.
Guélin, infatti, era impegnato in prima persona nelle indagini sulla rete d'espatrio clandestina ed era perfettamente al corrente del piano di Robert Jodkum . Proprio a Guélin si doveva la scoperta del covo di rue des Mathurins.
- Ho bisogno di parlarle Ms. Dreyfus, ma non qui. Saliamo prima nelle stanze che ho fatto preparare per voi. Sarete stanchi. Vedo un po’ di sorpresa e timore nei suoi occhi, Ms Dreyfus. Le spiegherò tutto fra poco. Volete riposare un po’? Possiamo chiarire ogni cosa anche più tardi.-
Il misterioso Jean Guélin se n’era andato, come il facchino, prima di lui, deposti i bagagli al centro della stanza. Dreyfus e la moglie erano rimasti soli in quell’elegante camera d’Hotel.
Lei si sforzava, in modo evidente, di apparire tranquilla. Aveva preso a disfare le valige ed a sistemarne lo scarso contenuto nei cassetti. Giusto per avere qualcosa di concreto da fare.
Dreyfus, al contrario, era ancora immobile, a testa bassa, impalato innanzi alla porta da cui Guélin se n'era appena andato, dopo avergli porto una mano che lui non aveva saputo rifiutare di stringergli.
Ora, quello che prima non riusciva a capire, iniziava a delinearsi nella sua semplice e agghiacciante banalità.
Gli agenti tedeschi, dopo averlo catturato, a Montpellier, non lo avevano picchiato per farlo parlare. In realtà non gli avevano chiesto quasi nulla, oltre le sue generalità e la provenienza delle apparecchiature radiofoniche. Sapevano già tutto e il suo arresto era, evidentemente, il frutto di delazioni altrui.
Adesso, era chiaro che si aspettavano qualcosa da lui, e quell'illusoria libertà concessagli, ancorché pagata a caro prezzo, aveva un preciso scopo. Gli sfuggiva, ma iniziava ad intuirlo e ne aveva paura.
Appuntamento in Place de la Concorde.
Quando, in fondo alla rue Royal, esplode l'immensità di Place de la Concorde, Dreyfus prova un'improvvisa vertigine.
Serve riprendersi in fretta, tornare a vedere le cose per quello che sono realmente.
Le automobili in circolazione non sono moltissime, ma c'è una folla di gente che va e viene nella piazza.
Sulla sua sinistra staziona un picchetto di militari tedeschi, posti a guardia del Ministero della Marina, apparentemente impassibili di fronte al via vai di ufficiali e civili che sfilava loro innanzi.
Dove l'avrebbe condotto la sua silenziosa guida?
Avrebbero svoltato a destra allontanandosi dal pericolo o vi sarebbero passati innanzi con indifferenza. In realtà quei soldati, rigidi e impettiti, nulla sanno di lui, della sua missione e di quel pericoloso appuntamento in quel luogo così improbabile.
Eppure, subito, appare ben chiaro il senso di quella strana soluzione voluta dal dottor Eugene e la profonda intelligenza di quella scelta di tempo e di luogo.
Proprio l'animazione e la vastità della piazza rappresentano la migliore protezione: il miglior modo per non dare nell'occhio e non apparire sospetti.
Anche se, durante il cammino, non ha mai tentato di individuare i suoi pedinatori, sa perfettamente d'esser stato seguito. Conosce il piano e quello che non sa lo immagina facilmente. Quanti saranno alle sue calcagna?
Ai tedeschi ha fornito una descrizione del dottor Eugene del tutto diversa da quella reale. È il suo asso nella manica. L'unico vantaggio su cui può sperare ragionevolmente di poter contare.
Durante l'incontro del 15 maggio in rue Mathurins, Dreyfus si era rivelato perfettamente all'altezza del suo compito. Era stato convincente, nel ruolo di aspirante alla fuga. I suoi rapporti con la Resistenza erano noti e rappresentavano una solida garanzia.
Al dottor Eugene non ha rivelato nulla, per timore che scoprire di avere i tedeschi alle costole potesse indurlo a far saltare la combinazione. Ha fornito le fotografie necessarie ai documenti falsi e concordato i dettagli del pagamento.
A quell'appuntamento gli era stato espressamente ordinato di recarsi da solo e i tedeschi avevano acconsentito; anche loro preoccupati che un qualche errore potesse mandare a rotoli l'intera operazione. Niente code a seguirlo e niente Guélin ad accompagnarlo.
La decisione di giocare sporco l’aveva presa quasi subito.
Quando Guélin, tornato poche ore dopo, aveva, con pochissimi preamboli, detto chiaro e netto cosa i tedeschi pretendevano da loro.
Da lui, in particolare, perché Paulette, per fortuna, non sarebbe stata coinvolta.
I documenti di lei erano già pronti: la donna poteva andarsene anche subito e tornare dalla loro figlia.
Lui no. Lui aveva un compito da portare a termine; eseguirlo fino in fondo era la sua unica via di salvezza.
Si trattava di infiltrarsi in una rete clandestina, attiva nell’organizzare l’espatrio di ebrei e partigiani. Fingersi interessato alla fuga, smascherare i membri dell’organizzazione.
Le parole di Guélin l’avevano colpito come un colpo in testa, sferrato con una mazza pesante.
Gran parte di quello che era stato detto dopo nemmeno lo ricordava più, ma le ultime frasi si, quelle erano ancora scolpite nella sua mente.
- Lei non ha altre alternative, immagino se ne renda conto. Domani farò in modo che prenda i primi contatti con gli intermediari dell’organizzazione.-
La notte era trascorsa in modo orribile. Pauline che singhiozzava piano al suo fianco, lui con gli occhi sbarrati nel buio a pensare.
Infine la decisione era venuta. Non avrebbe tradito!
Doveva solo assecondare i tedeschi. Fingere di collaborare. Loro stessi avrebbero creato le condizioni perché lui potesse comunicare con i resistenti.
Cosa avrebbe fatto poi non lo sapeva ancora. Avrebbe improvvisato.
Una volta creato il contatto poteva provarsi a giocare il tutto per tutto.
Seminare i tedeschi, smascherare la trappola, fuggire all’estero.
Sembrava quasi facile: lì nel buio di quella stanza d’hotel, nel letto, a quell’ora di notte.
Il suo piano di fuga gli appariva un po’ meno facile adesso, nella vastità di Place de la Concorde.
Quanti poliziotti aveva alle calcagna? Dove si trovavano in quel momento?
Quando fosse comparso il dottor Eugene, come ci si doveva comportare?
Lui non era un operativo. Non era un combattente. Dentro tremava di paura e gli sembrava incredibile la calma esteriore che riusciva comunque ad imporsi.
Anche salutare la moglie, prima di andarsene, come se dovessero rivedersi di lì a poco, era stato difficile. Sapevano entrambi che sarebbe occorso molto tempo per potersi ritrovare e, se qualcosa fosse andato storto, poteva accadere che quello fosse il loro ultimo incontro.
Solo un bacio sulla fronte e un abbraccio fugace. Per non tradirsi.
Tutto accade molto più semplicemente di come se lo era immaginato.
Giunti in Place de la Concorde, Dreyfus e Fourrier svoltano a destra. Percorrono con calma l’intera facciata della sede dell’Automobile Club de France e quella dell’Hotel Crillon.
Improvvisamente un uomo si materializza accanto a loro, mentre attraversano Avenue Gabriel.
L'uomo si avvicina a Fourrier, gesticolando come se chiedesse informazioni: è il dottor Eugene!
Molta gente circola accanto a loro. Poche automobili, ma molti pedoni: soprattutto in bicicletta. Con un gesto rapido, Eugene afferra Dreyfus per un braccio e lo conduce verso gli alberi del vialetto. I due scompaiono presto dall’orizzonte ottico del poliziotto, rimasto ad osservare la scena da lontano per non dare sospetti.
Ve ne sono altri lì intorno, ma nemmeno si accorgono di quanto è accaduto.
L’agente della Gestapo rimane a guardare Fourrier che, a passo svelto, si avvia, solo e tranquillo, verso il suo negozio di barbiere.
Di Dreyfus e del dottor Eugene nemmeno l’ombra. Sempre che quello fosse veramente il dottor Eugene.
Guélin, che ha atteso Fourrier in negozio lo vede tornare da solo.
- Tutto perfetto- gli annuncia il barbiere. L’appuntamento ha avuto luogo regolarmente e il viaggio di Dreyfus è iniziato.-
L'uomo di mondo che è in lui gli consente di non tradire il disappunto e la sorpresa che prova. Stringe la mano a Fourrier, sorride e gli assesta una pacca sulla spalla. Lascia il negozio con il solito sorriso stampato sul volto.
Ad un centinaio di metri di distanza, l’agente tedesco lo attende, fuori vista.
- È andato tutto storto- gli annuncia questi - Dreyfus si è allontanato con un tale apparso all’improvviso e insieme sono svaniti nel nulla-.
- Era il dottor Eugene?- chiede Guélin amaramente. - Non saprei- Risponde il poliziotto.
- Se era lui vuol dire che Dreyfus ci ha mentito, perché i suoi connotati non corrispondono in nulla a quelli che quel figlio di cane ci ha fornito il 15 maggio-
L’Hauptsturmführer SS Robert Jodkum riceve lo sgradevole rapporto dei suoi agenti una mezz’ora dopo.
Fine della caccia. Almeno per ora.