Parigi: una città tanti nomi.
Esistono tanti nomi per indicare Parigi e non vi è da stupirsi di questo visto il fascino e la storia della città.
Lutezia, l’antico nome romano, la Ville Lumière, lo sappiamo tutti, ma anche Babylone e questo, probabilmente, è un riferimento al caos che vi regna essendo una grande città.
Meno noti sono alcuni soprannomi popolari, diffusisi nel 19° secolo: quelli di Pantin, Pantruche e Pampeluche e, poi, Paname.
Pantin è un comune vicinissimo a Parigi, anticamente, a vocazione agricola. Era molto rinomato per la bellezza della campagna e per l’aria buona che vi si respirava rispetto alla città. Molte famiglie aristocratiche e dell’alta borghesia parigina avevano, nei dintorni di Pantin, le loro ville per le vacanze estive.
Nel 1815 inizia a circolare una battuta divertente che, giocando sulla fama del luogo presso l’alta società, definisce la “notte di Parigi” come: la sorgue à Pantin. Affermando che già il poeta Villon, intorno alla metà del 1400, definisse la capitale come: "Paris emprès Pontoise" (Parigi vicino a Pantin), sottolineando così che Pantin fosse più nota al mondo della stessa Parigi!
Parigi vicino a Pantin! Parigi diviene così Pantin, ma presto nel gergo popolare dell’argot il nome si corrompe in Pantruche e Pampeluche, a causa del suffisso scherzoso "uche" spesso applicato in argot.
Un esempio su tutti: Ménilmontant diviene, in argot, Ménilmuche.
Sono nomignoli derivati dalla fantasia popolare e spesso, almeno inizialmente, non hanno intenzioni non troppo affettuose. Nomignoli enfatizzati anche da artisti ed intellettuali delusi dall’arrivismo senza poesia di tanti piccolo borghesi loro contemporanei.
Il poeta Gérard de Nerval dirà:
Pantin, c’est le Paris obscur, quelques-uns diraient le Paris canaille; mais ce dernier s’appelle, en argot, Pantruche. N’allons pas si loin.
Soprannomi di Parigi che, via via, si diffondono e finiscono, qualunque fosse l'intento iniziale, con l’assumere un significato assolutamente affettuoso.
Così, se Parigi è Pantruche, i parigini diventano Pantruchars!
Verso la fine del XX secolo Parigi è ancora soprattutto Pantruche, ma qualcosa sta per cambiare. Una vicenda di malaffare piuttosto drammatica, in particolare per le migliaia di piccoli risparmiatori che vi rimangono coinvolti, scuote il mondo finanziario e politico francese.
È lo scandalo del canale di Panama: una storia poco edificante, nata dai maneggi, finanziari e politici, che accompagnarono i lavori per la costruzione del canale navigabile sudamericano destinato ad unire l’oceano Atlantico a quello Pacifico.
Il progetto, decisamente grandioso, ma gestito in malo modo, venne finanziato ricorrendo al risparmio di alcuni grandi imprenditori e di migliaia di piccoli risparmiatori francesi. Le cose andarono male e centinaia di migliaia di persone videro andare in fumo i risparmi di una vita.
Lo scandalo ed il processo che ne segue gettano tonnellate di fango sulla classe dirigente francese dell’epoca. I francesi scoprono improvvisamente che personalità di tutto rispetto sono, in realtà, dei truffatori e, soprattutto, che almeno un centinaio di parlamentari della Terza repubblica si sono fatti corrompere ed hanno permesso che tanti onesti lavoratori venissero ingannati e vedessero andare in fumo i loro sudati risparmi.
Anche la Stampa non ne esce molto pulita, ma è proprio la Stampa, attraverso certe testate di opposizione al governo, che lancia gli slogan destinati ad alimentare il rancore del popolo contro i propri governanti.
Il giornale, La Libre Parole diretto da Édouard Drumont, svela ad uno ad uno i nomi di tutti i giornalisti e politici implicati nello scandalo.
Presto su tutti i giornali, e sulla bocca della gente, corrotti e truffatori sono spregiativamente definiti: “panamists“. La definizione ha facile presa tra coloro che hanno perso i loro risparmi, ma anche tra la massa dell’opinione pubblica, sempre meno entusiasta dei propri governanti.
Quando, poco dopo i fatti, l’amministrazione di Parigi impone nuove tasse sulle derrate agricole i commercianti colpiti dal provvedimento reagiscono malamente e iniziano a definire “panamists”, quindi corrotti, i governanti della città.
Il nomignolo prende piede, ma, al momento, si limita a designare la classe dirigente.
È un termine spregiativo rivolto a politici, amministratori, finanzieri e giornalisti. Presto, però, si estende ai parigini della classe borghese in generale. Complice anche il fatto che proprio allora inizia a diffondersi, fra le classi medie e abbienti, l’uso di un cappello estivo di grande eleganza: tessuto e forma mutuati da un copricapo utilizzato in Sud America dalle maestranze che lavorano al Canale. Un copricapo chiamato Panama!
Così Parigi è Paname per l’eleganza eccessiva, per l’illusione di una facile ricchezza e la disillusione della realtà e, non ultimo, perché è una città enorme e caotica, come enorme e dominato dal caos più assoluto era il cantiere in cui si cercava di realizzare l’opera grandiosa del canale che avrebbe unito due oceani.
Infuria la Belle Époque che, ricordiamolo sempre, è decisamente una bella epoca, ma solo per chi dispone di ingenti fortune. Per tutti gli altri è lavoro durissimo ogni santo giorno, disoccupazione ad ogni accenno di crisi economica (fisiologica caratteristica dell’economia liberale) e, per chi non ha lavoro stabile, è miseria nera. Una massa di diseredati, dalle fetide baracche della Zone ai margini della città, guarda con odio e rabbia crescenti i parigini abbienti dei quartieri chic. Agli occhi di quei disperati tutti i parigini del centro città sono nient’altro che panamists e Parigi stessa è detta “Panam“.
Manca ancora quella “e” finale che cambierà tutto.
Finisce un secolo ed uno nuovo inizia. Nulla sembra cambiare all’orizzonte, ma è solo un’illusione. Scoppia il primo conflitto mondiale e tutta l’Europa ne è sconvolta! Tutto un mondo e le sue regole stanno per essere cancellati dalla Storia.
È in corso la Grande Guerra. Il 1917 è l’anno più tragico di quel conflitto. La Francia ha già lasciato sul terreno 3 milioni di uomini e la fine della carneficina è ben lungi dall’essere visibile. Lo spirito combattivo delle truppe è al suo minimo, si temono rivolte ed ammutinamenti fra le truppe.
In questo clima anche il Fronte interno è chiamato a dare il proprio contributo alla coesione nazionale. Così una semplice canzoncina che esorti il soldato a non cedere allo sconforto ed a pensare che presto rivedrà l’amata Parigi, può tornare utile o, almeno, lo si spera.
Nel 1917 inizia a circolare una facile canzone che ha subito successo e finisce, ben presto, sulla bocca di tutti.
La canzone titola: Tu le r’verras, Paname, a cantarla è Suzanne Valroger, che all’epoca ha quarant’anni, ma che, da almeno venti, calca con successo i palcoscenici dei Café Chantant di Parigi.
La canzone recita così:
Tu le r’verras, Paname.
Et le pantruchar! C’est-y que tu serais malade,Ou que le cafard te rendrait tout transi,
Ce soir t’as pas le coeur à la rigolade
Tu dois penser que c’est rudement loin Paris
Sûr c’est pas drôle quand un copain calanche
Mais si tu dois en revenir c’est écrit
Pour pas que tu flanches
Faut pas y penser pardi
Fais comme je te dis,
T’en fais pas
Mon petit gars
T’en fais pas. Tu le reverras Paname,
Paname, Paname,
Le tour Eiffel, la place Blanche Notre-Dame,
Les boulevards et les belles Madames
Tu le reverras Paname,
Paname, Paname,
Le métro, le bistrot
Où tu prenais l’apéro après le boulot. Comme c’est loin tout ça
Mais tu le reverras à Paname….
Il testo fa leva su termini popolari che il soldato riconosce come propri. Ritroviamo così Pantruche e Paname (questa volta con la e finale), ma ora da quelle parole, dall'originario significato ironico o assolutamente negativo, ecco scaturire un senso di nostalgia e di anelito.
Parigi rimane la città dove si annidano tanti malfattori in colletto bianco, ma è anche il luogo dove il parigino in trincea vuole tornare assolutamente. È la sua casa ed è solo lì che ritroverà tutte le cose e le persone che ama. Ecco quindi che, sulle note della nostalgia, anche Paris/Panam diventa, nel cuore del soldato, il luogo più bello del mondo.
Da quel momento, soprattutto grazie a tante canzoni, il nome si impone al grande pubblico e la città più gioiosa del mondo è ormai per tutti e sempre più Paname.
Per tutti gli anni del primo dopoguerra sarà un fiorire di canzoni dedicate a Paname, alcune rimarranno famose anche nel tempo grazie alla fama duratura dei loro interpreti.
La più famosa di tutte è certamente C'est ça Paname, portata al successo dal grande Maurice Chevalier. Un po' meno nota è anche Dans un coin de Paname che, su musica di Raul Moretti, venne interpretata sempre da Chevalier, ma anche da altri, tra i quali spicca certamente l'ottima Jeanne Aubert.
Nel 1929 è la grande voce di Sylva Berthe ad intonare A paname un soir e, sempre di quegli anni è questa deliziosa C'est à Paname della quale, purtroppo non sono riuscito ancora ad individuare l'interprete originale.
C'est à Paname.
C'est au bout de la rue Fontaine,Quand la nuit replie sa toile,
Que débute cette rengaine,
Dont je ne sais où elle finira.
Dans ce décor fatidique,
Quel est ce vieux loup qui rôde ?
C'est le destin en maraude,
Du côté d'la rue Lepic.
C'est à Paname, oui Madame,
Que va s'tramer la partie !
C'est pas en Chine, pas à Chartres,
C'est à Paris ! C'est à Montmartre...
Anche dopo la fine della seconda guerra mondiale Parigi rimane Paname.
Ancora nel 1960 ecco apparire una vera dichiarazione d'amore a Parigi, a cantarla il grande Leo Ferrè e il titolo della canzone è nient'altro che: Paname!
Ne interpreta una versione personalissima, e non poteva essere diversamente, anche la meravigliosa Juliette Gréco.
Ve ne saranno ancora molte altre di canzoni e canzoncine sullo stesso tono, tante che è difficile ricordarle tutte.
Poi, e siamo nel 1975 in piena epoca Bit, un cantautore molto amato dai giovani, Renaud Séchan (noto semplicemente come Renaud) se ne va in bicicletta per Parigi cantando Amoureux de Paname ottenendo, almeno in patria, un clamoroso successo.
Una canzone che visto le tematiche potrebbe essere cantata anche oggi...visto che gli ecologisti da salotto furoreggiano ancora.
E oggi? C'è ancora chi ricorda che Parigi è anche Paname? Certo! Oggi Parigi è ancora Paname, forse un po' meno che negli anni tra il '20 e il'60, ma abbastanza perché un interprete della musica dei giorni nostri vi dedichi ancora una canzone.
Si tratta di Slimane Nebchi, in arte semplicemente Slimane, classe 1989. Esordisce nel 2016, con un singolo intitolato Paname e vince un disco di platino.
La tête dans les étoiles
Le lendemain à l'école dans la cour
J'disais: "Poto, passe-moi la balle!"
Maman me disait: "Fais tes devoirs"
J'lui répondais: "Attends de voir"
J'lui faisais lire chacun d'mes poèmes
Un jour à Paris je chanterai que j'l'aime
Paname, Paname, on arrive
Moi, ma gueule et mon sac à dos
Paname, Paname, on arrive
Moi, mes rêves et mes chansons
Paname, Paname, on arrive
Moi, ma gueule et mon sac à dos
Paname, Paname, on arrive
Moi, mes rêves et mes chansons
Paname, Paname, on, on, on arrive
Paname, Paname, on, on, on arrive (et mes rêves)...
Chiudiamo riproponendo il filmato di Paname nella versione originale di Leo Ferrè.
C'è forse di meglio? Viva Parigi. Viva Paname!